Analisi

Regionali Toscana, cambia la scheda elettorale?

Domani il consiglio regionale della Toscana sarà chiamato ad approvare una proposta di legge di manutenzione dell’ordinamento regionale. Tra le norme contenute alcune riguardano le prossime elezioni regionali: l’abbassamento del numero delle firme necessarie per la presentazione delle singole liste e una modifica alla scheda elettorale, proposta dal Pd e approvata con un emendamento ieri in commissione.

Se domani il consiglio darà il via libera al testo, i toscani, che probabilmente saranno chiamati al voto il prossimo 20 settembre, si troveranno nelle urne una scheda del tutto nuova. Anzi no, una scheda del tutto vecchia perché l’emendamento riesuma il modello in vigore tra il 1995 e il 2010, abbandonato in occasione delle regionali del 2015.

Ma cosa cambia? Partiamo dalla scheda usata nel 2015. Ritagliata sul modello di quella per l’elezione del Sindaco e del Consiglio nei comuni con oltre 15mila abitanti prevede il nome del candidato presidente in alto ed i simboli delle liste sotto, due per ogni riga in caso di coalizione. E’ lo stesso modello in uso per l’elezione di Camera e Senato col Rosatellum, in cui, in luogo del nome del candidato presidente, è riportato quello del candidato nel collegio uninominale.

La nuova scheda – non tanto nuova, come già detto – usata anche per le elezioni degli altri consigli regionali dall’approvazione della legge Tatarella in poi, prevede che i simboli dei partiti siano incolonnati sulla sinistra e che il nome del candidato presidente trovi invece spazio a destra, uno spazio molto più ampio rispetto a quello concessogli nel 2015. Solo due differenze rispetto al passato, il nome del candidato presidente non sarà accompagnato da un proprio simbolo diverso da quello delle liste che lo supportano e vicino al simbolo delle liste troveranno spazio i nomi dei candidati nella circoscrizione, come nel 2015.

Ma perché nel 2015 si scelse di cambiare e nel 2020 si decide di tornare indietro?

La modifica introdotta nel 2015 era un sistema studiato per diminuire i voti espressi in favore del solo candidato presidente a danno delle liste. Un sistema che dopo aver dato prova di funzionare nelle elezioni comunali, si era dimostrato utile allo scopo pure per le regionali: nel 2015 i voti andati ai soli candidati presidente furono infatti solo il 3% del totale – dato uniforme per tutti i maggiori schieramenti – contro il 14% del 2010, 41.136 contro 247.978. A spingere per quella modifica era stato il centrodestra che nel 2010 aveva “pagato” più di altri la possibilità di esprimere il voto al solo candidato presidente: chi aveva scelto il centrodestra infatti, in 16 casi su 100 non aveva votato nessun partito della coalizione; dato che scendeva al 12% per la coalizione di centrosinistra. Considerato che la ripartizione dei seggi in Consiglio non tiene conto dei voti andati al solo candidato presidente, lo sbilanciamento era evidente.

A farsi promotore del ritorno al passato è oggi il Partito democratico che probabilmente fa molto affidamento sulla notorietà del proprio candidato presidente e scommette su una supposta debolezza dei candidati avversi, studiando una scheda che – concedendo molto più spazio ai candidati governatori – potrebbe anche agevolare l’espressione del voto disgiunto.

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